Viola Margaglio è poeta-performer e psicologa di comunità. Romana, classe ‘93, cresce a Ostia tra studi artistici, attivismo e volontariato. Abita il mondo della poesia performativa dal 2017. Nel 2019 fonda il collettivo PoetryClan Ostia, e dal 2020 al 2023 è coordinatrice per il Lazio delle attività della LIPS.
Ciao Viola, benvenuta. Dunque, in questo periodo anche sui tuoi social è osservabile un tuo processo di addensamento in una figura che faccia convivere professionalmente il mondo della poesia con un altro che ti caratterizza, cioè quello della salute mentale – essendoti formata come psicologa. Come stai tracciando questa figura, quali pensi siano i potenziali che emergono dal convivere di questi linguaggi? Cosa stanno generando nelle tue riflessioni le lezioni che stai seguendo al corso di poesiaterapia di Mille Gru?
Ciao Isidoro, grazie a profusione per l’interessamento! Sì, mi sto addensando. Diciamo che sto provando a unirmi, o almeno a non disunirmi, a non cedere alla spaltung personale ed epocale. Ho sempre coltivato passioni disparate. L’arte, in tutte le sue forme, è una costante. Ma col finire del liceo e l’inizio dell’università è subentrata la psicologia, che si è andata a prendere una bella fetta del mio tempo e delle mie energie, tanto da farmi lasciare la scuola professionalizzante di recitazione teatrale che avevo iniziato in quegli anni. Eppure, oggi posso dire di aver portato a un livello professionale tanto l’ambito psicologico (sono una psicologa abilitata da più di due anni) quanto quello della poesia slam e del teatro-poesia. Facendo due conti, direi di essere una persona multipotenziale (concetto che ho conosciuto nel 2015 con la famosa Ted talk di Wapnick), e per di più del tipo detto “hug” (nel senso che i miei interessi tendono ad abbracciarsi in un unico percorso). Quindi ho cercato e trovato una prima definizione in grado
di raccontare, in maniera estremamente semplificata, quello che amo e che sono brava a fare: la “psicopoeta”. Una sola parola per un solo profilo social, perché sempre di più sto trovando una fitta rete di potenziali connessioni tra la psicologia e la poesia. In un certo senso, non sono più in grado di agirne una senza che sia condita con l’altra. Le potenzialità sono svariate. Come ampiamente esplorato dalla psicologia del profondo, il simbolo e la metafora giocano dei ruoli fondamentali all’interno della psiche umana: riconoscerli, avvalorarli, giocarci, ecc. spesso spiana la strada al processo di presa di consapevolezza, di trasformazione e di rinascita. Questo è vero tanto nel lavoro individuale quanto in
quello di gruppo e comunitario. Riguardo a quest’ultimo, pensiamo ad esempio a come sia i luoghi naturali che le città sono stati sempre culturalmente associati a un sistema di simboli specifico che la fantasia umana ha sintetizzato in entità mitologiche, divinità, eroi o santi. I riti che sono nati intorno a ciascun genius loci, caratterizzati da formule che potremmo definire poetiche, hanno spesso contribuito a rafforzare il senso di comunità, determinando l’identità e le caratteristiche affettive e psicologiche degli abitanti. Oggi sono cambiate le entità, ma il meccanismo è lo stesso. Immagina il meraviglioso potenziale
di unire la psicologia dei luoghi, la psicologia di comunità, l’ecopoetica e la poesiaterapia! A riguardo, sto preparando alcuni percorsi nell’ambito del mio tirocinio di Facilitazione in Poesiaterapia, presso la scuola Poesia Presente, con la supervisione del magico Dome Bulfaro. Diventare poetaterapeuta è in qualche
modo la conseguenza naturale di quello che ho fatto fin qui. Sto imparando moltissimo, ci vuole molto rigore quando si parla di unire arte e terapia, e bisogna saper spostare l’attenzione dalla forma della poesia alla sua funzione e al suo contenuto, e dalla poesia alla persona. D’altro canto, si tratta di recuperare dalle
profondità della storia umana una sapienza che è stata per millenni all’ordine del giorno.
Più nello specifico, la tua formazione psicologica è incentrata sulla psicologia di comunità: a più persone piace pensare allo slam come piccola comunità autonoma, sia riferendosi al singolo evento che alla community di persone che frequentano, partecipano e se ne appassionano. Come vedi sotto questa prospettiva le dinamiche che attraversano la scena e quelle sottese dallo stesso format del poetry slam? Più largamente, come pensi che la poesia possa generare comunità?
Frequento l’universo della slam poetry dalla fine del 2017, e uno dei fattori che mi ha fatta innamorare nel primo periodo è stato senz’altro quello umano, caratterizzato da un altissimo grado di socialità e cooperazione. Ci sentivamo quasi tuttə parte di qualcosa di accogliente, eccitante, supportivo e rassicurante, sentivamo di condividere valori, bisogni, scopi, e soprattutto una forte connessione emotiva data da un continuo susseguirsi di interazioni positive. Il senso di sicurezza che ne derivava sembrava favorire anche un’espressione e una sperimentazione artistica più libere. In tal senso, c’erano più o meno
tutti i tratti di un “senso di comunità” positivo, così com’è inteso dalla Psicologia di Comunità. Lo esperivo dal vivo, ma anche molto su Facebook: nella galassia slam era un continuo di scambi amicali, ludici, di riflessione, di poesia, di critica letteraria e di logistica riguardo agli eventi. C’era un’intensa comunicazione elettronica supportiva e scherzosa, sia attraverso i profili personali che i gruppi, dandomi l’impressione che coltivassimo anche un cosiddetto “senso di comunità virtuale”. In generale, il poetry slam in Italia è sempre stato raccontato come una comunità nella comunità. Nella Guida Liquida al Poetry Slam (2016), Dome Bulfaro lo definisce come “una comunità di uomini e donne interconnessi che
insieme, nella valorizzazione della diversità e dell’alterità, si nutrono, creano e trasmettono poesia”. In tal senso, il successo di questo movimento potrebbe essere stato catalizzato non solo dalla comune passione per la poesia performativa, ma anche da un forte bisogno sommerso di esperire un senso di comunità positivo, in un’epoca che soffre millenni di smantellamento dell’umana tendenza a raccoglierci in comunità. In effetti, all’interno della scena slam si sono create moltissime amicizie davvero speciali e durature (io ci ho trovato anche la mia attuale relazione romantica, ma questa è un’altra storia!). Il poetry
slam è un dispositivo che connette pubblico, poetə, Mc e organizzatorə, generando senza dubbio quella che possiamo definire una comunità temporanea. Inoltre, come sostenuto da d’Abdon in un recente studio, l’uso di poesie narrative è in grado di stimolare la riflessione e permette di sentirsi parte di una storia
collettiva. Ma non so quanto, ad oggi, si possa parlare dello slam come una comunità. Ammetto di essermi gradualmente un po’ allontanata dagli eventi di poetry slam, sentendo la necessità di esplorare altro, quindi non me la sento di lanciarmi in un’analisi delle dinamiche attuali. Personalmente sento che
l’allargamento della scena ha coinciso con una sorta di diluizione di ciò che sentivo così saporito nei primi anni. Molte cose stanno cambiando, e spero che le nuove possibilità di visibilità, guadagno e successo implicite nella parziale uscita dall’underground non danneggino troppo la qualità delle creazioni, la vitalità e il rischio delle sperimentazioni, nonché la sincera cooperazione tra tuttə noi.
La tua formazione è anche teatrale e proprio a teatro stai per tornare, dacchè a settembre debutterà il tuo spettacolo assieme a Matteo Di Genova tra teatro in versi e poesia in musica. Com’è nato il progetto con Matteo?
Il progetto SCHIANTI nasce da una collaborazione con il mitico Teatro Del Lido di Ostia, a Roma. Insieme a Dafne Rubini e all’associazione Esosementi, nel 2022 abbiamo intrapreso un dialogo con la direzione artistica del Teatro nell’ottica di realizzare un “presidio poetico” pubblico, ponendo la poesia performativa in una posizione centrale della loro programmazione. Ostia è un quartiere difficile da
spiegare, ma sicuramente caratterizzato dalle tipiche problematiche (e potenzialità) delle aree periferiche metropolitane, perciò siamo stati d’accordo nel voler ideare eventi il più possibile inclusivi, partecipati, gratuiti e con uno sguardo rivolto alle grandi tematiche dell’attualità. Dopo un primo evento dedicato a
Pier Paolo Pasolini, abbiamo dato vita a due proposte: Schianti Migratori e Guerra Dentro/Guerra Fuori. Ogni proposta è stata caratterizzata da due diversi momenti, svolti nell’arco di due giornate: un laboratorio e uno spettacolo. I laboratori hanno avuto l’obiettivo di avvicinare le persone ai linguaggi della poesia performativa e di stimolare delle riflessioni poetiche su tematiche complesse quali le migrazioni e la guerra. In entrambi gli eventi, abbiamo dato anche la possibilità di salire sul palco per restituire il frutto del laboratorio all’interno degli spettacoli precedentemente scritti da me e Matteo. Da questo primo slancio prendono vita le due opere in forma di studio. Dal primo studio ha origine SCHIANTI: attualmente in fase di completamento e produzione, questo spettacolo interamente scritto e interpretato da me e Matteo racconta di un universo ucronico, nel quale sconvolgimenti climatici simili a quelli attuali provocano flussi migratori a bordo di flotte di dirigibili. La trama si sviluppa attraverso i monologhi dei vari personaggi. Ad esempio c’è Helix, una ragazza di periferia in una metropoli distopica, che lotta insieme alla sua compagnia contro la realizzazione dell’Iper-Porto, ennesimo disastro ecologico sostenuto dall’Impero. Nello specifico, per scrivere questa parte ci siamo ispirati alla lotta del collettivo No Porto a Fiumicino, e in generale a tutti i movimenti di opposizione alle assurde colossali navi da crociera. Il racconto è quindi in forma di poema orale, stiamo sperimentando un mix tra teatro di narrazione, poesia performativa e spoken music. Le musiche sono opera di Emanuele Di Genova e viaggiano su generi electro-dub e cyberpunk. A ottobre di quest’anno debutteremo finalmente con la
versione completa dello spettacolo al Castello Orsini di Avezzano, grazie all’invito della compagnia Teatro Lanciavicchio.
Sarà di prossima pubblicazione, sempre per Mille Gru, un saggio che lega le tue pratiche poetiche laboratoriali al contesto scolastico e di comunità. Hai condotto diversi laboratori di poesia e al momento ti stai anche occupando di coordinare un progetto psicoeducativo laboratoriale per conto del Premio Dubito: quali sono i modi in cui ti è capitato di vedere una passione poetica nascere o svilupparsi col tuo supporto?
Sono davvero felice ed emozionata di coordinare la nuova area socio-educativa del Premio Dubito di Poesia con Musica. In questo contesto, sto guidando un team di formatori per avviare un progetto pilota a Treviso presso le scuole Coletti, le stesse che hanno frequentato Alberto e Lorenzo Feltrin. Questo progetto, offerto dalla fondazione Premio Alberto Dubito, coinvolgerà educatori-artisti come Davide Sospè Tantulli, Eugenia Galli, Maru Barucco, Davide Passoni, Sergio Garau e Julian Zhara. Il laboratorio, chiamato SPOKEN MUSIC LAB, è un percorso collettivo che integra musica, poesia, poesia con musica, poesia performativa e poetry slam. L’obiettivo principale è fornire agli studenti gli strumenti essenziali per l’esplorazione autonoma di questi ambiti culturali. Il laboratorio mira anche a migliorare le competenze espressive e creative degli studenti, promuovendo il senso di comunità, l’empowerment psicologico,
l’inclusività e la cittadinanza attiva. Il mio prossimo saggio, intitolato Youth Slam, è tratto dalla mia tesi di laurea del 2019 ed esplora precisamente il potenziale educativo, sociale e terapeutico della slam poetry, con un focus particolare sugli adolescenti. Questo studio nasce dall’idea che il poetry slam, con la sua fusione di poesia, scrittura creativa, teatro, performance e cultura hip-hop, possa essere un potente strumento per la Psicologia Scolastica e di Comunità. Le mie osservazioni e interviste hanno confermato questa ipotesi: coinvolgere gli adolescenti in laboratori di spoken word poetry ed eventi di poetry slam favorisce la loro espressione creativa e contribuisce anche a creare un senso di appartenenza. Soprattutto, con questo studio vorrei incoraggiare la prosecuzione della ricerca e l’implementazione di progetti simili in contesti educativi e comunitari. Youth Slam è solo un primo piccolissimo passo verso la comprensione e l’utilizzo di questo potente strumento per il benessere e lo sviluppo dei giovani e delle loro comunità. Uno degli aspetti più gratificanti del fare i laboratori è osservare come le persone riescano a liberare la propria voce attraverso la poesia. Creare uno spazio sicuro e accogliente è fondamentale, poiché permette ai partecipanti di esplorare le proprie emozioni e condividere esperienze personali. Nei contesti scolastici, dove gli adolescenti possono sentirsi vulnerabili, scrivere e recitare poesia diventa un modo per elaborare le proprie esperienze e trovare connessioni con gli altri. Il lavoro di gruppo nei laboratori favorisce momenti di co-creazione, dove la poesia diventa un linguaggio condiviso. Questo supporto reciproco aiuta i partecipanti a sviluppare la loro passione, come i tanti casi di chi ha trovato il coraggio di leggere una sua poesia grazie all’incoraggiamento dei compagni. La poesia permette anche di esplorare temi personali che risuonano a livello universale, diventando un mezzo potente per dare voce a emozioni e riflessioni. Spesso emergono risultati inaspettati, con poesie sorprendenti nate da idee improvvisate. In sintesi, la mia esperienza dimostra che la passione poetica può germogliare in modi unici e sorprendenti, facendo della poesia uno strumento di crescita personale e comunitaria. Ogni nuova esperienza conferma questo potere della poesia che, quando utilizzato in un certo modo, unisce le persone e crea nuove narrazioni condivise.