Marko Miladinović nasce a Vukovar nell’88, è poeta. Più ampiamente si muove nel campo della cultura, dalle performance alla curatela di eventi, ancora più ampiamente vive a suo modo 24/7. Giusto per sondare un po’ di quest’ampiezza, ecco un’intervista.
Buondì Marko, benvenuto. Dunque, il tuo passato precedente all’incontro del poetry slam era dedicato alla poesia in musica – linguaggio che hai proseguito ad esplorare e che recentemente è riapparso come più centrale con l’uscita di Alti Eldoradi, l’album di esordio di Amiata (pop musik), la band di cui sei frontman. Come si è evoluto il tuo rapportarti con la spoken word music in tutto questo tempo? Cosa ti ha inizialmente portato a voler esplorare questo linguaggio?
Buondì Isidoro! Intanto devo dirti mi onora già solo sentire la eco del tuo nome: “Bonté, ton nom est homme”, e molte grazie per cominciare da qui. Ho sempre avuto una band in cui versare le mie poesie prima di saperle poesie (e di scoprire la POP – poesia orale prestante) e queste l’hanno accresciuta: si chiamava Fedora Saura, eravamo in due nel 2012 (Muscoli in musica/scelta degli uguali), in cinque nel 2014 (La via della salute, Pulver und Asche Records), e oggi un sestetto. Questa debutto arriva dopo dieci anni insieme a Marco Guglielmetti (@infesta_____), e dall’incontro con il musicista Matteo Simonin (@diesozialegans): nel dicembre 2022 abbiamo ritrovato il nostra terzetto magico di composizione. Per il resto faccio ancora distinzioni tra poesia e canzone, sic!, in questo senso: la scrittura di una canzone mi permette di rubare grandiosamente i versi altrui e mischiarli ai miei; in poesia questo è… poesia? Si ruba ciò che già ci appartiene, e io mi sveglio con cento tasche perché a me appartiene molto.
Potrei dire facciamo una musica tra The Doors, The Fall e Alfredo Cohen. In Alti Eldoradi openoffice conta 1100 parole per 11 canzoni, non abbastanza per la spokenwordmusic?! Se solo cantassi come Sainkho Namtchylak, che dolore non cantare così! Canzoni e poesie sono connesse in modo inestricabile e pur partecipando l’una nell’altra non si confondono. Come certe cose che si possono o solo leggere, o solo dire, o solo cantare, o solo pensare, o solo scrivere o solo fare… non trovi?
Il tuo incontro con lo slam è avvenuto invece una decina di anni fa, e quest’anno Ticino Poetry Slam, che tuttora organizzi, compie dieci anni di attività. Cosa ha ingenerato in te questo incontro, e com’è avvenuto in prima istanza? Come hai visto l’ambiente e le poesie che lo popolano trasformarsi, dalla fase ancora embrionale di allora a quello che è il momento attuale?
È stato un puro caso. Il primissimo poetry slam in Ticino lo organizzarono nel 2011 a Santiago de Ciass (attuale Chiasso, Ciass), presentava Simone Savogin(!). Ero con lui, solo una settimana dopo(?), a Vimercate, dove ho incontrato chi come me provava di creare la sua forma di vita tramite il dire poetico, ridicolo eh? Là si facevano le mie due cose preferite: parlare di poesia e dire poesie e bere fumare. Due anni dopo è nata la LIPS. Oggi con Ticino Poetry (@ticinopoetry) continuo a prendermene cura per la comunità ticinese, e perché comunque e ovunque è un ambiente amico e naturalmente accogliente e con un pubblico di affezionati. Quast’anno è anche nata Vision Slam, la LIPS svizzera. Non ho ancora letto la mail. Oggi lo slam italiano è un luogo in cui c’è un autentico entusiasmo, una talentizzazione esponenziale, una piccola wannabe società dello spettacolo ma anche no e anche molto altro e in ogni nazione è diverso. Mentre ai miei tempi, s’ignori, dicevamo: “oh! non vedo l’ora di vedere pubblicata la mia prima raccolta di poesie”, chk!… Oggi il poetry slam ci piace ma è tutto sbagliato! (cit.). Ma quando mi invitano grazie!
Tra gli apporti concettuali che hai dato c’è stato quello di aver introdotto per primo il termine “stand-up poetry” in Italia. Nel periodo in cui l’hai abbracciato, come lo consideravi, che forma e fine gli davi performando? In che modo ti mettevi in relazione col linguaggio della stand-up comedy?
Tutto ciò che avevo di più poetico e spiritoso lo infilavo nella stand-up poetry. Rigorose scalette di gag, jingles, interventi sonori, “o oggetti o poesie, non altro” (A. Giacometti), ready-made: il piede di miliardario, la radio, il cazzo fritto, il naso, il piatto cymbal, l’autosuperamento, l’oggetto più schifoso di inizio secolo, ecc. ciascuno con un carico simbolico esagerato. E continui ribaltamenti di valore (v. prexe, monologo della macchina, LNGGG, ecc). Tutto l’impianto era messo in piedi per andare verso la bella follia, per davvero. Alle mie letture accadono certi deliri… e produzioni di senso, ribaltamenti, presenza fissa del genie poétique, presa del linguaggio alla lettera, velocità di esecuzione ed esprit comique, contemplazione di tutto l’accadere circostante, una certa mistificazione e bassezza essenziali e – chi fa non sa – questo era per me la stand-up poetry, che oggi chiamo “soltanto” lettura. Non ha relazioni con la stand-up comedy, benché la risata del pubblico è un elemento presente, meno da loro da quanto (mi) vedo… e i miei riferimenti non erano solo propriamente poeti(ci); c’era Daniele Luttazzi, Andy Kaufman, Tom Mullica, Klaus Nomi, Emo Philips… trovavo nella loro silhouette risposte alle domande sul come stare e, quella classica, che cosa può… autosuperarsi, dire, ingoiare un pacchetto di sigarette, fare scomparire, gridare, lanciare quello, muovere il braccio la gamba così, fare accadere, impazzire, mostrare, ridere, ecc. Importantissimo è non essere attori né dire di attualità, né lavorare né lavorare creativamente. Importantissimo è fissare il buio insieme.
Al momento, invece, stai performando abbastanza in giro, anche per presentare il tuo Libro massimo di poesia (AgenziaX, 2024), in cui è raccolto materiale dei tuoi ultimi sette anni di produzione. Intorno a quali elementi stai costruendo queste performance, e quanto del materiale ci confluisce per prendere altra forma? Allo stesso modo, hai osservato trasformazioni nello spostare il tuo materiale di poesia visiva dalla pagina alle proiezioni con cui accompagni le attuali performance?
Maggiore ricchezza e sorpendimenti e fascinazioni. Non più stand-up poetry ma lettura, o del perché il filare del baco da seta, o che cosa può una lettura… che non fa nulla per il lettore. Toccare la massima allerta come la massima libertà. Diagrammi, disegni, versi da LMDP, cut-up di sottotitoli da film si mischiano nella video-poesia al gigante sardo di Oristano fuso con dei funghi che sembrano genitali, coralli dal Museo di storia naturale di Lugano; il monumento a Leopardi nella sua piazza a Recanati esplode coinvolto da un gioco infantile con le dita per riapparire per lo libero ciel far mille giri; primo piano di una vespa che viaggia appiccicata al finestrino esterno del treno, per chilometri, a metà del viaggio si accomoda e al capolinea si divincola; via Volvera a Torino con Route de la Goulette a Tunisi; i mosaici del Museo del Bardo con il passetto di Ancona, eccetera eccederà. E parallelamente la poesia-sonora, il dire e il fare, la lettura, il contenuto formale.
Nonostante il taglio formale e la prospettiva filosofica con cui approcci alla poesia siano personali la tua poesia raramente tocca il terreno circoscritto della tua singola esperienza, ma si apre a una percezione più condivisa e generale. Partendo dal presupposto che necessariamente una scintilla dall’interno debba esserci per l’accensione, quanto consideri necessaria la tua esperienza come singolo nella composizione di una poesia – rispetto ad esempio all’apporto di stimoli altrui, o di riflessioni distaccate dall’esperire concreto?
Una sola scintilla luccicante di fiammelle appicca un grande fuoco. Noi siamo una tribù, e “solo le tribù sopravviveranno” (F. Beltrametti). Farsi le antenne significa, oltre a dirci ma che importa di noi, di me: scrivere versi del più lungamente trascorso (o da venire) e forse scoprire che non sono stati scritti per la prima volta. Che nessuna esperienza è individuale. Va’ canzonetta va’. Che la poesia si avveri, ci faccia uscire dalle nostre teste, uccidere lo spirito di gravità! E così almeno 8 secondi di pura allegrezza juntos en genio.
Riguardo agli stimoli altrui, da un lato una poesia arriva anche sui propri passi, come fanno i buoni pensieri, camminando – pensiero = tendere nella ricerca della propria voce nel linguaggio; poesia = massimo stato di allerta del linguaggio. Ma una poesia arriva, di una poesia viene costruito… la miglior parte accade proprio, accade anche, quando si è in compagnia – molte mie poesie lo sono grazie agli altri – ma se viene a noi tutta in un colpo, viene una lunga poesia, è meglio assentarsi un momento per trascriverla o registrarla? – a volte ci aspettano – se viene breve dirla subito a chi ci sta a fianco o scomodare tutti. Sono esistiti grandi poetas perché l’esperienza è ben poca cosa e la compagnia molta.
Ultimamente stai anche portando in giro PPNSP – Primi Passi Nella Sopravvivificazione Poetica, un incontro/lecture in cui esplori l’idea di una poetica svincolata dall’opera. Da quali necessità è nata l’indagine di questa possibilità? Quali passi hai già mosso verso questa direzione che ti hanno dato la sensazione che fosse una direzione giusta da esplorare?
Se non giusta, naturale, di ciò che perennemente nasce. E poi culturale, che indica una quantità (di persone con cui condividere, invitare all’esplorazione). Mi avevano chiesto di dare un seminario sul tema della ricerca artistica (Conservatorio Santa Cecilia Roma, Aremus 2023/24), ho risposto pieno di dubbi di incapacità Sì ed era tutto da inventare. Allora da quella prima volta provo di trattenere, di costruire e di esporre – con tutta la sindrome dell’impostore/fingitore immaginabile – quel che somiglia al sogno di Duchamp? un artista senza opere; qui una poetica senza poesie. Si fallisce sul nascere, letteralmente, le poesie si scrivono finché si ha fiato, basta non scriverle tutte ecco… o scriverle tutte sì ma tutti insieme.