Interviste

Intervista a Danna

Danna (classe ’97) nasce a Salerno, cresce in Abruzzo e si laurea in Anglistica e Americanistica alla Friedrich Schiller Univeristaet di Jena (Germania) nel 2023. Dopo il suo ritorno in Italia, co-fonda con Tommaso Virga e Gabriel Mastrandrea il collettivo di poesia performativa Ossi di Nutria. Ha rappresentato l’Abruzzo e il Molise alle finali nazionali di poetry slam del 2024 e co-coordina per la regione Toscana le iniziative LIPS.

Buondì Danna, benvenutx. Tra poesia performativa, drag, canto jazz e teatro, hai attraversato in diverse modalità le sfide che la performance custodisce. Come vivi l’atto performativo? Quali sono le variabili a cui poni più attenzione, nel pensare a qualcosa destinato al palco – o ad altro luogo?

Mi fa sorridere questa domanda, perché di tutte le dimensioni e i mondi che appartengono a questi 27 anni di esistenza la dimensione performativa è quella che più temo. Proprio per questo è quindi quella che mi regala più emozioni, sia positive che oppositive, e che quindi più mi aiuta a crescere. Proprio in virtù di questo timore infatti le variabili a cui pongo più attenzione quando penso a qualcosa per il palco sono praticamente tutte. Quelle plausibili, quelle impossibili, quelle che mi terrorizzano e quelle che più mi entusiasmano. Penso a ogni possibile riuscita, variazione e deviazione del corso delle cose, penso a ogni possibile soluzione, escamotage, alternativa… e poi me ne dimentico, cercando di vivere il momento sul palco con più presenza possibile. Cosa che non sempre mi riesce, anzi. Soffro di un disturbo d’ansia spesso invalidante e avere questo esercizio di esistenza a disposizione è un grande regalo. Infatti la cosa che mi dispiace di più quando sento che una performance non è riuscita come avrei voluto è il non essere presente e sentirmi come se volessi scendere dal palco non appena ci metto piede. Se invece sono presente, e quando sono sul palco mi sento le gambe, allora posso anche dimenticare il testo, sbagliare coreografia, prendere stecche o dimenticare una partitura, e sarò contento lo stesso.

Parlando di performance, in questi ultimi mesi ha cominciato a girare per l’Italia La casa nasconde, il progetto di poesia in musica che hai costruito con Max Panunzi attraverso una ricerca autobiografica condivisa. Come avete ricercato e addensato questo materiale, dall’inizio fino alla forma attuale?

Condividendo la vita che avevamo vissuto separatamente fino a quel momento. Con Max ci conosciamo da tanti anni, e io spesso scherzo e faccio la vecchia dicendo che lo conosco da quando era piccolo così, però è vero! E nel corso degli anni ho potuto seguire da lontano i suoi progressi in ambito professionale, chiedendomi se avrei mai respirato di nuovo l’aria densa di condivisione e creatività che si respirava nella nostra vecchia scuola di musica, la JazzOn. È successo dopo averlo incontrato di persona dopo anni, per caso a Tiburtina, e avergli chiesto di fare questa cosa con me. Questa cosa che col tempo ha cambiato la sua forma, si è evoluta e continua ad evolversi – sia per stare appresso alle nostre nevrosi (mie in particolare) sia per permetterci di giocare e sperimentare il più possibile, per non annoiarci.

Un’altra esperienza recente, nata meno di un anno fa, è quella di Questa Cosa Queer, azione collettiva di cui fai parte e che vuole dare un punto di focus alla poesia queer. Come si è sviluppata questa prima stagione di eventi? Quali sono le direzioni verso cui volete andare?

Questa prima stagione di eventi si è sviluppata grazie allo sforzo condiviso delle teste calde che fanno parte del progetto (Gabriele Bonafoni, Dario de Angelis, Daniela Falone, Mauro Lamantia, Andrea Acocella e Laura Partisani) ma soprattutto grazie alla tenacia e alla cazzimma di Olympia, la poeta madrina di QcQ, che fa da collante e forza motrice di una realtà che penso sia diventata un bel respiro liberatorio per parecchia gente nell’ambito del poetry slam e della poesia performativa. Basti pensare alla comunità formatasi attorno agli eventi di Poetry Speaks Up al Bar.Lina a Roma, dove anche io mi sono esibito parlando per la prima volta sul palco della mia queerness, in un momento in cui avevo davvero bisogno di vivermela sulla pelle per dare alla mia vita la forma che desideravo e che adesso inizia ad assumere. Farò un po’ di polemica, ma i ringraziamenti che riceviamo alla fine degli eventi con QcQ, sia dallə poetə che dal pubblico, non sono i soliti. Sono occhi lucidi e parole che non bastano a dire come ci si sente a condividere tutta quella vulnerabilità in un safer place come quello che QcQ vuole assicurare a chi prende parte ai nostri eventi, ed è inutile dire che questo accade perché non sempre è così. La cura nello scegliere i luoghi, la delicatezza nel cercare un modo di fare sentire tuttə a loro agio, l’impegno ad accettare le proprie responsabilità e fare ammenda concreta qualora si facciano sbagli non sono attenzioni che si trovano dappertutto, e lo dico da persona queer che abita e vive anche e soprattutto in spazi non necessariamente friendly. Nonostante il mondo della LIPS e del poetry slam sia un mondo che tende alla decostruzione, all’ascolto e al rispetto dell’altrə, resta una comunità composta da individui e non tutti e non sempre contribuiscono ad alimentare questo clima.

Tu sei parte del collettivo toscano Ossi di Nutria, con base a Firenze. La scena toscana vede la compresenza di più collettivi attivi sullo stesso territorio, talvolta pure nelle stesse città, in un rapporto simbiotico che sostiene e valorizza le azioni di ognuna delle parti. Come ti trovi all’interno di questa situazione, e quali pensi siano le variabili che abbiano concorso al crearsi di una scena così unitaria?

Mi sento di stare vivendo nella casa che ho scelto, e di essere circondata da testine matte come me che non mi hanno mai, mai, mai fatto sentire fuori posto. Sarà perché tra spostati ci si sistema? Non lo so, ma una delle variabili è sicuramente il riconoscere quanto sia preziosa e fondamentale la diversità con cui ciascuno di noi contribuisce alla scena. Non ci sono ridondanze se non nella gioia di scoprirsi simili, non c’è competizione territoriale perché calpestiamo tutti lo stesso hummus poetico, non si lascia nessuno indietro e nessuno si sente in diritto di arrogarsi privilegi o di toglierne sulla base del prestigio o dell’anzianità di percorso. Anzi: sono stati proprio i Ripescati, che sono il collettivo più duraturo della scena slam toscana a oggi, ad avvicinare noi Ossi e mettere a nostra disposizione la loro esperienza qualora avessimo avuto bisogno di consigli, attrezzature, suggerimenti o di fieri compagni di bevute. E anche con Verbena e Clorofilla, nonostante la distanza, quando ci è possibile organizzare cose insieme si fa più che volentieri, in quanto fornisce un’ottima scusa per rivedersi e coltivare amicizie che vanno decisamente al di là della singola serata o del progetto.

Tre anni fa è uscito Grimorio dei sette anni, tua raccolta di poesie in cui attraversi le diverse fasi di un processo di crisi e ricostruzione della tua identità. A questa distanza temporale come vedi la tua evoluzione sotto questi punti di vista, rispetto al momento in cui hai composto e raccolto questi testi?

Mamma mia! Che domanda dolorosa! Dolorosa perché far uscire il Grimorio è stato credo il primo vero atto di autodeterminazione della mia vita adulta, forse della mia vita in generale. È uscito in un momento davvero pesante per me e abbraccia un lasso di tempo in alcun modo più leggero. Parla di sette anni perché sono sette gli anni intercorsi dal momento in cui ho scritto la mia prima poesia “cosciente” e la sua pubblicazione, e nel corso di questi anni il libro ha subito talmente tanti tagli, escoriazioni, dilapidazioni e raschiamenti che è rimasto stampato solo quello che davvero ha resistito al peggior critico del mio lavoro – ovvero io (ma solo perché mia madre sostiene di non capire la poesia). Quindi, anche se riconosco l’ingenuità di alcuni espedienti, scriverlo mi ha davvero aiutato a rendere reale quanto di me avevo permesso esistesse solo nella solitudine dei miei pensieri fino a quel momento.