Interviste

Intervista a Clara Vajthò

Clara Vajthò, nata nel 1958, è poetessa e performer. Entra nel circuito degli slam dal 2007, rimanendo per molti anni personaggio molto attivo, fino alla pausa di questi ultimi anni. L’abbiamo contattata per parlarne un po’.

Benvenuta Clara, e grazie. Dunque, nella tua produzione prendono uno spazio speciale le tue poesie assieme erotiche e comiche, in forma di filastrocca, che performate su palco hanno sempre avuto una grande potenza. Come ti è nata quest’idea, e come si sono sviluppate le Storie di Cazzo e Figa e altri amici? Quali pensi siano i tratti che condividono questi due generi, e quali pensi siano i motivi per cui si sposano così bene in quel che scrivi?

L’idea di una poesia erotica comica mi è venuta con la mia prima produzione di questo tipo, ovvero le Poesiole doppiosensuali. Un modo di affrontare il tema sessuale ed erotico in forma leggera e scherzosa ma in qualche modo diretta, che vuole dire le cose del sesso per quello che sono, una cosa normale, dove non c’è niente da non dire, il contrario di quello che è per la nostra cultura, dove tutto ciò che riguarda la sessualità non è mai normale, anche ora che se ne parla molto più che in passato. C’è sempre un non dire o dire troppo che sono espressione dei medesimi schemi culturali, mentre sarebbe auspicabile parlare e soprattutto vivere una sessualità al pari di come ci si lava le mani, così e basta. Da questo si è sviluppata poi l’idea delle storie di Cazzo e Figa, dove tutte le parti del corpo coinvolte nella sessualità sono le protagoniste e sono chiamate col loro nome e fanno le cose che la natura le porta a fare, e la forma di filastrocca è uno sguardo tenero e divertito sulle loro imprese goffe, indecise, curiose, istintive, insicure, confuse, entusiaste, giocose e libere, molto lontane dagli stereotipi di una sessualità noiosa, ripetitiva e schematica che da troppo tempo la nostra cultura ci propina. Queste poesie sono un po’ una provocazione e un po’ un tentativo di ridimensionare il parlar di sesso togliendogli quell’aura di proibito/tabù/morboso/ammiccante che trovo ipocrita e fastidiosa. E qui veniamo all’altra domanda: quale migliore strumento poteva fare al caso mio se non l’ironia? Non credo che erotismo e comicità abbiano tratti in comune, ma è proprio questo a rendere efficace la loro abbinata. Cogliere ed evidenziare il lato divertente, buffo e ridicolo delle pratiche erotiche permette di dire quello che di solito non si dice trasfigurandolo in quello che effettivamente è.

Un altro aspetto che esplori in più tuoi testi è quello del tuo lavoro, nel quale hai la possibilità di incontrare un’umanità densa e specifica. Ti è capitato di presentare alle persone di cui ti prendi cura qualche testo che hai dedicato loro, o di trovare altri modi per interagire con loro tramite la poesia? E se sì, com’è andata?

Io mi occupo di animazione per anziani, attualmente in RSA, ma in passato anche con interventi dedicati agli anziani del territorio. Nello specifico ho condotto per il Comune di Venezia laboratori di poesia over 70, con una buona risposta in termini di partecipazione e con ottimi risultati, tanto da ripetere l’esperienza per alcuni anni. Attraverso la narrazione autobiografica ho avvicinato gli anziani al fare poesia come espressione della propria storia e delle proprie emozioni e mi sono stupita di trovare un terreno tanto accogliente e fertile che ha portato persone che mai si erano avvicinate alla poesia a mettersi in gioco e a scoprire dentro di sé una vena poetica mai immaginata. La gioia di ricevere un biglietto in cui una ultranovantenne mi ringraziava per averle insegnato ad esprimere le proprie emozioni è stato il migliore risultato del mio lavoro. In occasione di questi laboratori, tra le molte poesie di vari autori lette, ho letto anche alcune mie poesie dedicate agli anziani.

La tua presenza sul palco è dotata di estrema naturalezza, che si sposa bene coi testi che proponi. Come ti sei avvicinata le prime volte al palco, cosa ti ci ha spinto sopra?

Per quanto riguarda la mia presenza sul palco forse c’è meno naturalezza di quel che sembra, o forse la naturalezza mi viene infusa dalla spensieratezza dei miei testi, ma non è sempre così, mi è capitato per esempio di emozionarmi molto e perdere in disinvoltura con una mia poesia su mio fratello medico nella guerra in Yemen. Diciamo che esibirsi con Cazzo e Figa rilassa abbastanza. Le mie prime esibizioni sono state proprio ad un festival di poesia erotica a Venezia, non so bene cosa mi ci abbia spinto, forse il voler condividere i miei testi con altri, forse voler provare una cosa nuova. Poi una poesia tira l’altra e sono arrivati gli slam dove ho vinto e perso, e niente fa bene come vincere e perdere.

In quest’ultimo periodo hai preso un periodo di sospensione dalla poesia: com’è attraversare un momento del genere? Ci sono stati altri periodi di questo tipo nel tuo passato e, se sì, cosa hanno riportato alla tua penna quando l’hai ripresa in mano?

Il periodo attuale di sospensione dalla scrittura poetica è il più lungo che ho attraversato da quando ho cominciato a “fare poesia” con una certa continuità, cioè da circa diciassette anni. Il fermo-poesia è coinciso con il periodo del COVID, quindi con il fermarsi di tutte le occasioni pubbliche della poesia orale: reading, slam, presentazioni, serate. Contemporaneamente, la necessità di informarmi nel modo più esaustivo possibile sul virus e sulle scelte conseguenti, ha monopolizzato tutto il mio tempo e la mia mente, portando ad un accantonamento fisiologico del pensiero poetico. Sono seguite scelte, cambiamenti di vita, di lavoro e di luoghi che cominciano ora ad assestarsi. La vena poetica non ha ancora ripreso a sgorgare, lo farà? Non lo so, non mi pongo il problema, come mai me lo sono posto nelle pause del passato. Se la poesia non viene, non viene. E se viene, che poesia sia.