Che sensazione ti rimane ancora addosso dopo l’esperienza di Firenze?
Sconcerto, confusione. Mi sono abbastanza convinto che quello che i Ripescati dalla Piena hanno organizzato a Firenze, semplicemente, non sia successo. Non è possibile, è un glitch nel Matrix, rivoglio la mia pillola blu.
Altrimenti, scusate, come si spiegano centocinquanta persone che nel periodo più buio della recente storia occidentale si riuniscono a celebrare l’esistere come esseri umani ascoltando poesie fino alle due del mattino e stringendosi in abbracci che durano come la cottura del pan di Spagna?
Dai, sú, non prendiamoci in giro: non è solo implausibile, è pure scritto male.
Per chi ancora non ti conosce, parlaci del tuo percorso all’interno dello Slam.
Se non vi spiace, mi prendo un attimo. Era un depresso pomeriggio di metá sessione quando ho chiuso il libro di Analisi 3 e ho guardato un Tedx su YouTube: “Harry Baker | Grand Slam Poetry Champion”: un ragazzo inglese che studia matematica recita una poesia sull’amore tra 59 e 61, i due numeri primi separati dal 60 (“insieme, saremo il doppio di quanto 60 potrà mai essere”). Stoppo.
Guardo il libro di Analisi 3. Riguardo il video. Guardo il libro. Riguardo il video.
Smatto.
Poco tempo dopo, mi fulmina l’idea dell’amore tra un cosmologo e una terrapiattista e scrivo la mia prima poesia, che porto a dicembre 2019 al mio primo slam (dove scopro che esiste una LIPS, pazzesco), al Modernista di Pavia. Conducono Santa Sam Kabauter e Santo Andrea Fabiani, salgono sul palco (tra gli altri): Emanuele Ingrosso, Jaime De Castro, Chiara Araldi. Mi innamoro perdutamente. Di tutto, di tuttə.
Flesc fòruord: covid. Indoor Poetry Marathon. “Questo non è un podcast” di Simone Savogin. I video di Witberry (aka Luca Bernardini) su YouTube. I Mezzopalco al Premio Dubito su YouTube. “Date loro fuoco” di Giuliano Logos su YouTube. I libri di Alfonso Maria Petrosino su, beh, carta.
Lo posso dire? Mi sono preso un attimo, lo dico: questa roba a me titilla la ghiandola ossessiva. Io sono un fan. La poesia performativa, prima di tutto il resto, mi piace.
Mi gaso, mi intrippo, mi interrogo, scrivo. In estate provo i primi slam a Milano con Slam Factory e a Pavia al Bacaro.
Faccio pure una finale lombarda in stampelle di fronte ai miei genitori e mi porto a casa il bronzo.
L’anno dopo vinco pure il campionato italiano di Slam Italia e mi porto a casa, nell’ordine: aver ascoltato per la prima volta Davide Volpe (quindi, ne è valsa la pena); UNA COPPA DI SETTANTA KILI; aver conosciuto il collettivo “La Casa delle Artiste”, che ha creduto nel progetto “Mia mamma fa il notaio, ma anche il risotto”, lo spettacolo in cui ho raccolto le mie idee e che porto in giro da luglio 2021.
Arriva il 2022, decido che la fisica può aspettare e mi lancio a capofitto nel magico mondo LIPS. Conosco i collettivi, prendo treni, vivo sui divani, mi sveglio insieme a troppe persone troppo poco vestite nello stesso letto in un paesino del mantovano, vado a LaClaque di Genova, al Largo Venue a Roma, al Larg_o e allo Zelig a Milano.
Vado a Parigi a vedere Lorenzo Maragoni che vince la coppa del mondo e a trattenere Lorenzo Mura che esulta come Grosso ai mondiali del 2006 e scrivo la prima poesia a due mani e a due voci con Martina Lauretta, coronando un sogno che avevo dal giorno uno e cominciando quello più grande di uno spettacolo teatrale in poesia a due voci.
Poi ancora (il 2022 è stato abbastanza pieno): dichiaro il mio eterno amore alla cittá di Trento e lí mi qualifico come campione Trentino grazie al supporto di Sissi, Zadra, Giorgio e Francesco del collettivo Altroverso. Tra l’altro, lí ascolto per la prima volta le poesie di Gloria Riggio e imparo in una sera quanto ho imparato in due anni.
Manca solo un agosto in tournèe al Sud in cui, grazie soprattutto a Giuliano Logos (toh, di nuovo lui!), Olympia, Eleonora Fisco e a una signora di nome Cristina di Roccamandolfi in provincia di Isernia, mi convinco finalmente che la poesia performativa è il linguaggio che serve a questa comunitá, in questo momento.
Adesso avete più o meno il quadro completo.
Ah, alle finali nazionali a Firenze ho fatto per la prima volta “tequila, schiaffi e limone”, ma non me lo ricordo troppo bene.
Postilla per chi non avesse capito qualcosa: lo so, mi dispiace, avrei dovuto essere più chiaro. Ma ho cominciato scrivendo un resoconto e mi sono trovato in mano una lettera d’amore A tutti voi, solamente: grazie.
Quale poesia, tra quelle presentate alle finali, pensi sia la più rappresentativa della tua persona?
Devo rispondere con un’ammissione di colpa: io sono uno scemo, perché ad un certo punto del mio percorso mi sono accorto che per anni non ho fatto altro che scrivere la stessa poesia, ancora e ancora, sempre ossessionato da un’unica persona: il Teatro. Quindi ho deciso di scrivere l’ultima e mi sono messo l’anima in pace. (Spoiler: probabilmente ho detto una bugia, probabilmente non sarà l’ultima).
“La nascita di Cecco Palchi” è la poesia d’amore che ho scritto al teatro, rappresenta la mia persona perché parla della persona che vorrei essere e del dolore e della rabbia nel riconoscere che il mondo ha perduto la sacralitá dell’ascolto.
Credo che l’attenzione delle persone sia il petrolio di questo secolo (oltre al pertrolio, giusto) e che noi ogni serata di spettacolo ci giochiamo la partita con i più grandi professionisti del settore, che hanno venduto il loro sapere alle piattaforme con cui noi promuoviamo noi stessi e le nostre serate di spettacolo.
È un bel cazzo di casino, no? No? Cecco Palchi è per me il demone che vive nelle cose belle che accadono sul palco e tanto basta. Ci tengo molto anche perché è una poesia strana, con una partitura fisica strana che per sua natura vuole abitare ogni singolo centimetro della superficie disponibile – cosa strana per lo slam.